Brutti, sporchi e cattivi
L’aggettivo “medievale” è tornato di moda nel dibattito politico e nei talk-show come termine di paragone assolutamente negativo. Il “caso” Medioevo: sono stati davvero mille anni di buio?
Nell’opinione comune il medioevo è qualcosa di unitario, un millennio ben definibile, giudicato culturalmente e socialmente inferiore a quel che segue e a ciò che lo precede. Sui giornali, nei talk-show, nel dibattito politico, l’aggettivo “medievale” ricorre come termine di paragone assolutamente negativo per mostrare idee reputate antiquate, atteggiamenti malsani, realtà politiche autoritarie.
In una recente “Storia della filosofia medievale” (o forse dovrei definirla una pseudo-storia della filosofia medievale) un famoso uomo di spettacolo definisce i secoli medievali “bui, perché qualcuno ha spento la luce”. Che dire? Del resto i filosofi medievali erano tutti santi, per mille anni i pensieri degli uomini sono stati (nel migliore dei casi) confusi, pieni di pregiudizi, le arti balbettanti, i politici prepotenti e ignari dello stato di diritto…
Non mancano, tuttavia, visioni esaltanti e romantiche del medioevo: un pensiero grandioso nella cornice di una cultura cristiana immobile, senza dubbi, senza scosse, o (nelle versioni peggiori) cavalieri rozzi ma leali, donzelle virtuose ma sempre in pericolo, strane ampolle con il sacro liquido di fiumi padani…
In realtà, il medioevo, ammesso che esista, non è stata un’epoca più buia né più luminosa di altre. Quasi tutti gli storici sono ormai concordi nel ritenere che un millennio è troppo lungo per essere usato come un’unica categoria storica anche se, indubbiamente, a quei tempi le cose non andavano cambiando velocemente come oggi. Come fa notare la filosofa Maria Teresa Fumagalli, cosa hanno in comune i Merovingi, la scuola monastica del secolo IX con le università, l’amor cortese, i mercanti, la logica terminista, e il dissenso religioso di Guglielmo di Ockham? Quasi nulla.
Io aggiungo che hanno in comune le stesse cose che uniscono i no global e la politica di Lorenzo il Magnifico.
Da alcuni decenni, tuttavia, la tradizionale visione cronologica è stata messa in crisi in vari modi. Eminenti medievisti hanno “frantumato” il millennio in questione individuando una serie di grandi spaccature, rinascite, svolte.
Facciamo qualche esempio. Nel XI secolo, la filosofia di Anselmo d’Aosta rappresenta un nuovo, originale modo di pensare; i suoi geniali argomenti lo indicano come il precursore della logica (il fatto che sia “anche” un santo è, in questa sede, irrilevante).
Il Trecento, poi, è teatro di svolte epocali: “nova” diventa l’arte della musica, la pittura di Cimabue e soprattutto di Giotto è percepita anche dai loro contemporanei come rivoluzionaria.
Forse al moderno uomo tecnologico darà un po’ fastidio il fatto che qualche cosa assimili il nostro tempo a quello medievale. La dimensione europea della politica, per esempio: non c’è evento relativo a un solo regno che non abbia effetti in tutto il continente; qualcuno sogna effimere unità europee; sono emblematiche le carriere intellettuali di uomini che partono da Aosta o da Oxford e vanno a insegnare a Parigi e viceversa.
Che dire poi del modo di argomentare di Giovanni di Salisbury, filosofo del XII secolo? Nel suo Policraticus escogita mille modi per trattenere l’attenzione di una folla di ascoltatori con artifici recitativi e passando “dalle cose scherzose a quelle serie e da queste ancora a quelle”. La scienza della comunicazione non è, ahinoi, una cosa tanto “moderna”!
Persino alcuni gesti comuni nel medioevo non sono del tutto scomparsi dal nostro mondo, anche se notevolmente indeboliti nella loro forza significativa. Ne è un esempio la stretta di mano senza guanto, anche se ultimamente si tende a sostituirla con l’americano, po’ volgare, “dammi un cinque”.
Vediamo ora alcuni argomenti sui pregiudizi più radicati. Un primo esempio riguarda la convinzione secondo la quale “nel medioevo, più che in altre epoche, il minimo dissenso era punito con accuse di stregoneria e chiunque finiva sul rogo”.
E’ innegabile che nel medioevo abbia avuto inizio l’attività degli inquisitori, con le relative torture e i roghi nelle pubbliche piazze. Tuttavia, dopo la relativa sospensione di questo genere di processi avvenuta in epoca rinascimentale, le persecuzioni ripresero verso la fine del Cinquecento; in questo periodo, si arrivò a eguagliare e superare in numero le esecuzioni dell’intero periodo medievale. Alcuni dati: in Francia, il giudice Nicolas Remy mandò al rogo circa 900 fra streghe e stregoni, solo tra il 1576 e il 1591; Henri Boguet ne fece bruciare 600; in Germania, il vescovo von Dornheim fu il responsabile di 600 esecuzioni nel 1623. Siamo in epoca moderna e questi sono dati incontrovertibili.
Eppure il pregiudizio rimane. Di recente, in un famoso quiz televisivo, una concorrente ha perso un consistente montepremi retrodatando la condanna di Galileo Galilei da parte del Santo Uffizio “perché queste cose avvenivano nel medioevo”. Sbagliato: la condanna di Galileo risale al 1633. Come pure a quest’epoca risalgono la condanna di Tommaso Campanella e il rogo di Giordano Bruno.
Questi fatti sembrano confermare la tesi di Le Goff, secondo il quale esiste un lunghissimo medioevo che va dal 200 al 1800, con la sola eccezione del Rinascimento che rappresenta un “vero intoppo”.
Tesi avvalorata anche dal nostro ultimo argomento riguardante l’opinione comune che “nel medioevo, più che in altre epoche, la gente non si lavava”.
Anche qui è innegabile che, probabilmente, l’uomo medievale avesse poca dimestichezza con l’acqua. Tuttavia, dati recenti ci dicono che nel Rinascimento la media dei bagni per ogni persona (appartenente a un ceto sociale alto) era di uno al mese. Un dato che anche ai pulitissimi moderni appare accettabile.
La media crolla però bruscamente nel XVII e nel XVIII secolo (il secolo dei “lumi”) fino ad arrivare a un solo bagno nell’arco di una intera vita.
Fa eccezione il re Luigi XIV, il quale nel corso di tutta la sua esistenza fece ben due bagni: lo aveva ordinato il medico!
Di Cristina Ubaldi Giuliano