Federico II, l’imperatore nato a Jesi
Il 26 dicembre 1194 nasceva nella bella città marchigiana Federico di Svevia, lo stupor mundi.
Jesi, antica città romana posta sopra un poggio sulle rive del fiume Esino, è nota soprattutto per un avvenimento: la nascita di Federico II Hohenstaufen, avvenuta il 26 dicembre 1194 nella piazza principale della città.
L’episodio, di cui non vi sono tracce evocative nel nucleo storico d’impianto medievale di Jesi, è tuttavia presente nella memoria collettiva dei suoi abitanti e nella produzione artistica. Qualche anno fa, infatti, è stata eretta presso le mura cittadine una statua di bronzo raffigurante l’imperatore svevo, mentre presso il Museo Colocci si può ammirare una tela ottocentesca dell’artista iesino Luigi Mancini, dove è rappresentata la nascita di Federico II nella piazza dominata dalla cattedrale di S. Floriano.
Figlio dell’imperatore Enrico VI e della normanna Costanza d’Altavilla, Federico era l’erede dell’Impero svevo-tedesco e del Regno di Sicilia. Intorno alla sua nascita si intrecciarono voci e profezie, molte esaltanti, altre nefaste, come spesso accade ai personaggi destinati a dominare la loro epoca. Tuttavia, la nascita dell’imperatore nella città marchigiana è da considerarsi un caso fortuito. Infatti, nell’autunno del 1194, di ritorno dalla Germania e diretta a Palermo, l’imperatrice Costanza dovette interrompere il viaggio e sostare a Jesi per l’avanzato stato della sua gravidanza. Il giorno di Santo Stefano essa dava alla luce Federico, il suo unico figlio nato dopo nove anni di matrimonio sterile.
L’evento fu all’epoca considerato eccezionale perché l’imperatrice, una donna che aveva da poco passato i quarant’anni, era quasi considerata una “vecchia”. Non mancarono i dubbi sull’autentica maternità di Costanza. Ci fu persino chi sostenne che Federico fosse il figlio di un beccaio di Iesi, e la gravidanza simulata. Forse per liberare il campo dalle insinuazioni, fu sparsa la voce secondo cui Costanza avrebbe partorito sotto una tenda collocata nella piazza del mercato di Jesi, alla presenza delle autorità civili e religiose, oltre che di molti cittadini e donne maritate. Per dimostrare la propria maternità, la donna si sarebbe poi mostrata al popolo, in piena luce, con il bimbo attaccato al seno. Non ci sono documenti ufficiali comprovanti questi avvenimenti, che risultano comunque in contrasto con il carattere generalmente riservato della donna normanna.
Federico rimase a Jesi poco tempo. Ben presto, per volontà del padre Enrico, fu portato a Foligno e affidato alla tutela di Corrado di Urslingen, duca di Spoleto.
In seguito, l’imperatore non fece più ritorno nella città in cui, occasionalmente, venne al mondo, ma continuò a nutrire nei suoi confronti un grande attaccamento.
Nell’agosto del 1239, Federico inviò, infatti, una famosa lettera alle autorità locali, forse per assicurarsene l’appoggio politico. Nello stile solenne e pomposo della retorica ufficiale, Federico definiva Jesi “insigne principio della nostra vita”, attribuendo a questa città l’appellativo di “nostra Betlemme, incisa nella nostra mente e profondamente radicata nel nostro cuore”. Poi prosegue: “Così tu, Betlemme, città delle Marche, non sei la più piccola tra le grandi della nostra stirpe, perché hai dato i natali al principe dell’Impero …”.
In quegli stessi anni, Federico divenne lo “stupor mundi et immutator mirabilis”, lo stupore del mondo e il miracoloso trasformatore, come lo definì Matteo da Parigi dopo la sua morte. Tuttavia, “stupor mundi” significa anche confusione e spavento: emozioni provocate da un uomo che tenta di sovvertire l’ordine costituito. E forse nessun’altra figura nella storia europea consente una così grande quantità di giudizi contraddittori, di simpatie e antipatie: c’è qualcosa in quest’uomo che insieme attrae e inquieta. Certo, sulla prospettiva dei contemporanei pesano i giudizi negativi dei suoi avversari politici, prevalentemente di parte papale, l’ostilità della Chiesa culminata con le due scomuniche, lo scontro con i comuni che seguì alle rivendicazioni autonomistiche delle città dell’Italia centrosettentrionale.
Nonostante le ambiguità, Federico II si può comunque considerare tra gli statisti più geniali e moderni del Medioevo. La sua monarchia, illuminata benché assoluta, originale per l’epoca, fu improntata alla lotta per i diritti dello Stato laico contro la teocrazia papale.
Principe coltissimo (parlava il latino, il volgare, il francese, il tedesco, il greco, l’arabo) fu anche un grande mecenate. Tra le sue opere civili spiccano la fondazione dell’Università di Napoli, gli aiuti alla scuola medica di Salerno, l’impulso alla ricerca scientifica, filosofica e medica.
Il suo amore per la scienza è attestato dal famoso trattato di ornitologia, il De arte venandi cum avibus, “Dell’arte di cacciare con gli uccelli”, un’opera notevole perché rigorosa e ancora attendibile nel contenuto, vivace nella forma. Tra i primi documenti della scienza sperimentale in Occidente, il trattato fu dedicato a Manfredi, figlio illegittimo di Federico e della sua amante Bianca Lancia, il “biondo e bello e di gentile aspetto” che Dante descrive nel suo Purgatorio.
Poeta egli stesso, Federico raccolse attorno alla “magna curia” di Palermo la scuola poetica passata alla storia, da Dante in poi, con il nome di scuola siciliana. Federico e i suoi poeti furono i primi a verseggiare in volgare, nell’antico dialetto apulo-siculo, il che dà alla corte dell’Imperatore la priorità storica nella formazione della lingua poetica italiana.
Politicamente, egli aspirò ad un regno di pace, fallendo, come spesso accade, laddove ricorse alla violenza.
Ma, nonostante gli insuccessi e le contraddizioni, la figura di Federico continua a esercitare un fascino straordinario.
Moderno, affascinante, forse un po’ scomodo, come lo sono spesso gli spiriti originali, egli resta lo stupor mundi.
Di Cristina Giuliano