San Francesco e i libri - AVVOCATO ROTALE

Avvocato Rotale
Homo doctus in se semper divitias habet
stemma giubal
Avvocato Rotale
GIUBAL
Vai ai contenuti

Francesco e i libri
L’apparente contraddizione tra l’alta cultura francescana e la diffidenza per il possesso dei libri.


San Francesco non fu né teologo né uomo di cultura, benché sia stato un autore più prolifico del suo contemporaneo san Domenico, la cui opera sopravvive in una sola breve lettera.

Francesco vedeva con poco favore sia il possesso di libri sia le richieste di cultura teologica dei suoi confratelli, come emerge dalle memorie dei più intimi compagni del santo.

In alcuni episodi narrati in queste memorie, Francesco non solo raccomanda a un collega di cedere la propria costosa raccolta di libri, ma resiste anche per tre volte alle suppliche di un novizio che voleva tenere un salterio.

Per il santo di Assisi la vocazione dei frati doveva essere alla “pura e santa semplicità, santa preghiera e madonna povertà”, piuttosto che alla conoscenza, che non deve mai essere disprezzata, ma può facilmente condurre all’orgoglio. Il frate dovrebbe essere uno che agisce e non si limita a riferire le azioni di altri.

Secondo Francesco, infatti, “un uomo ha effettiva conoscenza solo in quanto la mette in pratica, e un religioso può predicare bene solo in quanto egli stesso agisce bene”.

Questi discorsi mostrano non solo le prevenzioni del santo rispetto al pericolo rappresentato dai libri e dalla cultura in generale, ma anche l’inesorabile pressione che spinse rapidamente l’ordine francescano verso il mondo delle università, anche se la cultura sarebbe stata accettata dai frati solo se capace di conciliarsi con la vita di preghiera e di predicazione.

In una Chiesa sfidata al proprio interno dalle eresie e dalla corruzione clericale, Francesco consigliava ai suoi frati di pregare, lavorare ed essere pazienti piuttosto che studiare. Se volevano predicare, dovevano farlo più con l’esempio che con qualunque altro mezzo. Ed è innegabile che nessuno superò Francesco nel fornire concreti esempi di come predicare con l’azione piuttosto che con le parole.

Negli anni successivi alla morte del santo, avvenuta nel 1226, nacquero delle tensioni all’interno dell’ordine francescano tra sostenitori della cultura universitaria e coloro che invece continuarono a nutrire sospetti nei confronti dei libri.

Tuttavia, il corpo generale dei francescani, benché segnato da disaccordi sulla questione della povertà, giunse a condividere l’opinione che i frati potessero possedere libri e aspirare a una cultura teologica avanzata. Tutti erano d’accordo con le parole di Francesco, ma, a differenza del santo, i francescani successivi non videro nella cultura un reale pericolo per la propria vocazione.

Per questi motivi la seconda generazione di francescani è stata spesso criticata per aver abbandonato il fondatore e le sue intenzioni, ma tale critica mi sembra miope. Francesco fu veramente una figura unica e non è giusto usare la sua elevata personalità come un metro con cui misurare i suoi successori.

Rimane comunque forte la contraddizione tra la posizione di Francesco che, come abbiamo visto, è quanto meno diffidente nei confronti della cultura, e la successiva generazione di francescani, i quali furono eminenti uomini di scuola. Persino tra coloro che applicavano la “Regula” alla lettera vi furono teologi coltissimi. L’esempio più straordinario ci è dato dal filosofo Bonaventura da Bagnoregio.

Bonaventura fu maestro reggente all’università di Parigi, a quel tempo una delle maggiori in Europa.

Nelle sue varie attività, egli diede sempre prova di una cultura profonda, forse inimmaginabile per l’uomo moderno, non tanto, è ovvio, nella quantità, quanto nella qualità: una cultura che significava davvero sviluppo, arricchimento delle diverse capacità dello spirito.

Bonaventura fu un universitario che scelse di essere francescano, nel senso più profondo del termine. Da allora la sua cultura si sviluppò su due piani che, a prima vista, sembrano contraddittori.

Come maestro reggente, egli fu testimone di una cultura molto vasta, come francescano difese la povertà evangelica, predicando davanti all’università, davanti al re, ai monaci benedettini, ai suoi frati, alla gente semplice, sempre con la stessa umiltà e straordinaria capacità oratoria.

Nominato Ministro Generale dell’ordine,  ricostruì la figura di Francesco, grazie alle memorie dei suoi primi compagni, lasciandoci la biografia più completa e attendibile del santo di Assisi.

Ma, ai fini del nostro discorso, ciò che Bonaventura ancora ci insegna è che la cultura è giustificabile se promuove la ricerca mistica, ma c’è un livello più alto, che è per noi un modello perfetto, ma quasi irraggiungibile. Il Ministro Generale è ben consapevole che Francesco era sospettoso nei confronti della cultura, ma ci fornisce una spiegazione del motivo per cui lo studio ha un ruolo importante, risolvendo in parte la contraddizione che abbiamo mostrato sopra.

Solo Francesco può essere identificato come colui che ha avuto perfetta conoscenza dei misteri umani e divini impressi in lui dall’alto. Ma per i suoi successori, francescani e non, la cultura è ancora necessaria, a patto che non porti, per usare un linguaggio moderno, alla dicotomia tra idee e azione.

Nessun santo nella storia della cristianità è stato più popolare di San Francesco e i teologi dell’ordine francescano, al di là delle critiche, hanno reso il santo non solo parte importante della loro vita, ma anche parte integrante della successiva riflessione teologica, segno della forza della testimonianza al Vangelo che Francesco ha posseduto in modo davvero speciale.

Di Cristina Giuliano
Torna ai contenuti