Lucrezia Borgia a Pesaro - AVVOCATO ROTALE

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Lucrezia Borgia a Pesaro

E' importante distinguere tra storia e letteratura: la "nostra" Lucrezia ha poco a che fare con la crudele avvelenatrice descritta da Victor Hugo.

Lucrezia Borgia è, senza dubbio, una delle figure più falsificate del nostro Rinascimento. Importante è saper distinguere il personaggio storico da quello letterario, protagonista di innumerevoli romanzi d’appendice e di opere anche pregevoli sul piano artistico, ma di scarso valore storico.

In altri termini, la “nostra” Lucrezia nulla o poco ha a che fare con la crudele e assurda avvelenatrice descritta da Victor Hugo nel suo dramma di inizio ottocento.

Lucrezia nasce nel 1480 nella Rocca di Subiaco, feudo della famiglia Borgia, figlia del cardinale Rodrigo e di Vannozza Cattanei. Fin da giovanissima viene avviata a una educazione scolastica di primissimo livello: studia la poesia, il latino e il greco. Non le manca una solida educazione religiosa, ricevuta nel prestigioso convento di San Sisto a Roma.

La ricchezza dei Borgia, nobile famiglia spagnola, cresce di pari passo con il potere del cardinale Rodrigo, il quale nel 1492 riesce nel suo colpo più ardito: farsi eleggere papa con il nome di Alessandro VI. Nella sua nuova carica, egli non disdegna di avvalersi dei figli (ben quattro quelli avuti dalla Cattanei) per rendere più durature le fortune della famiglia.

Poiché in quegli anni è forte la minaccia spagnola del Regno di Napoli e il papa cerca  una possibile intesa con i francesi, Borgia porta a compimento un’alleanza con gli Sforza di Milano, nobile e influente casata vicina alla Francia, combinando il matrimonio tra Lucrezia e Giovanni Sforza, signore di Pesaro e imparentato alla famiglia milanese.

Lucrezia, tredicenne, è dunque la prima a piegarsi alla logica della ragione di stato, diventando, da quel momento, elemento strategico nelle mani del padre-papa.

Il 12 giugno 1493 Lucrezia e Giovanni si sposano, ma non vi è nulla di romantico o di sentimentalmente nobile in questa unione, la quale è, con molta probabilità, una commedia se, dopo appena due mesi di matrimonio, lo Sforza ritorna a Pesaro, lasciando Lucrezia sola  nel palazzo di Santa Maria in Portico a Roma, residenza ufficiale della coppia.

Bisogna aspettare la metà del 1494 perché Lucrezia si decida a lasciare Roma e a raggiungere il marito nel suo dominio di Pesaro, dove la contessa dimorerà per un periodo relativamente breve nel corso dei quattro anni di durata del matrimonio.

L’otto di giugno, la quattordicenne contessa di Pesaro entra nella città di suo marito, come diranno i relatori pesaresi, “apparecchiata a trionfo e stipata da un popolo curioso”, popolo che, probabilmente, si riprometteva da questa donna potente grossi privilegi.

Lucrezia rimane stupita e ammirata dal luogo e dalla gente, come ci testimonia una sua lettera indirizzata al padre, conservata nell’Archivio segreto Vaticano. La ragazza informa il padre del suo felice arrivo a Pesaro e delle festose accoglienze ricevute: “simo arrivate sane e salve qua in Pesaro, donde … puro fummo recepute con grandissima festa e sopratuto con grandissima demostratione de amore de tuto el populo”. Apprezzamento anche per la bellezza degli edifici e della dimora comitale, “una bella e comoda casa”.

Purtroppo è una giornata funesta: una pioggia di primavera, piena di ventate, si rovescia sul corteo della contessa, inzuppando e scomponendo l’eleganza delle vesti e delle acconciature. Ma il giorno dopo c’è un bellissimo sole e Lucrezia e le compagne del suo seguito partecipano a tutto un programma di balli e rappresentazioni, divertendosi a stupire quel “pubblico di provincia” col lusso delle loro vesti.

E davvero un’ottima impressione deve aver fatto l’ambiente pesarese alle romane, se Giulia Farnese, compagna di Lucrezia, scrive: “Pesaro è città ancor più civile di Foligno, tutti sono affezionati allo Sforza: di continuo si balla si canta si suona e si va in maschera”.

Finiti i balli e i festeggiamenti, chi può dire ciò che avviene tra Lucrezia e il signore di Pesaro? Se dobbiamo credere ai relatori pesaresi, l’accordo tra i due sembra indubbio, almeno se ci riferiamo alle manifestazioni di onore che Lucrezia riserva pubblicamente al marito, quali che fossero le sue notti di sposa. Certa è, comunque, la sua condotta irreprensibile, la sua vita “decorosa”: Lucrezia è quella “dignissima madonna” che i testimoni di quel tempo, anche i meno benevoli verso i Borgia, descrivono.

L’evolversi della situazione politica e nuovi equilibri, tuttavia, modificano presto il rapporto dei Borgia con la Francia, soprattutto a causa della rivendicazione di re Carlo VIII del Regno di Napoli, con la relativa pretesa di investitura papale da parte del sovrano francese. Lucrezia trascorre un periodo molto travagliato lontano da Pesaro e dal marito che rischia la vita perché estraneo ai progetti politici dei Borgia che si stanno riavvicinando alla Spagna.

E’ un brutto periodo per il signore di Pesaro: dipende dal papa come feudatario e come genero, ma si sente intimamente legato ai suoi parenti milanesi, tanto da non volere abbandonare la loro causa. Lo Sforza accetta il comando di un reggimento napoletano con il soldo relativo, ma nello stesso tempo comincia a informare i milanesi sulle mosse dell’esercito nel quale milita: più che spionaggio, alto tradimento, meritevole di morte secondo le regole militari di ogni tempo e di ogni paese; si capisce come egli sia “impauritissimo” di ciò che fa, come prova la sua corrispondenza.

Passato il ciclone francese e tornato momentaneamente a Roma con la moglie, Giovanni è costretto nei primi giorni del 1497 a ritornare nell’amata Pesaro. Come ci narra la cronaca di un relatore pesarese, Bernardo Monaldi, il papa progetta di togliere la sposa al signore di Pesaro, o ammazzarlo, “ma esso, ciò risaputo dalla moglie, sopra un cavallo tornò qui”. E’ quindi Lucrezia a svelare la congiura familiare a Giovanni: il che prova che i cronisti del tempo sono convinti non solo dell’innocenza di Lucrezia, ma anche della sua alleanza col marito.

A Pesaro, Giovanni si aggira tutto solo e pieno d’ira nel palazzo comitale, sperando che Lucrezia lo raggiunga. Speranza che si rivela vana quando, come un fulmine, arriva a Pesaro la notizia della richiesta, da parte del papa, di annullamento del matrimonio perché Giovanni non lo avrebbe consumato, “quod non cognoverim Lucretiam”.

Ma il signore di Pesaro nega il consenso al divorzio: “Non voglio assentire a questa dissoluzione … non sarebbe valida per le cose che sono seguite fra me e … Lucrezia … dirò senza rispetto, benché mal volentieri, quello che una volta ho detto al Signor duca [il duca di Milano, Ludovico il Moro] e che è la propria verità”.

E’ chiaro che qui lo Sforza ribadisce l’accusa più infamante tra le tante fatte ai Borgia, quella d’incesto. Le torbide relazioni tra Lucrezia e suo padre ossessionano Giovanni, il quale accusa apertamente il papa di avergli tolta la moglie per tenersela lui. Cosa c’è di vero in questa accusa? Ha il valore di una grossa calunnia lanciata in un momento d’ira, per vendetta contro i Borgia, a causa dell’onore ferito, o la certezza dello Sforza ha un valore di verità?

Prove certe non c’è ne sono, ma fa pensare il fatto che, benché egli tenga l’accusa sempre ferma, per spaventato che sia, salva in ogni caso sua moglie, tanto è vero che cerca disperatamente di riaverla con sé: o i suoi sono solo sospetti, o, nella peggiore delle ipotesi, ritiene la moglie innocente perché soggiogata fisicamente o moralmente dall’autorità paterna.

A nulla valgono, comunque, le accuse e il rifiuto dello Sforza: il 22 dicembre 1497 viene promulgata la sentenza di divorzio, con la lettura di un solenne documento che dichiara Lucrezia “fanciulla intatta”.

Da questo momento in poi le strade di Lucrezia e di Giovanni si dividono irreparabilmente. Poco più tardi, il conte di Pesaro sposa un’altra donna, la veneziana Ginevra Tiepolo, dalla quale avrà due figli.

Lucrezia non rivede più la terra di Pesaro, se non un’ultima volta, di passaggio, nel viaggio che la porta a Ferrara, dominio del suo terzo marito, Alfonso I d’Este. E forse i suoi sentimenti per questa terra sono legati al ricordo della sua adolescenza, ancora chiara e senza ombre.

Lucrezia muore il 24 giugno 1519, di parto, a soli trentanove anni. Il fatto che la duchessa di Ferrara muoia in seguito all’ennesima procreazione non stupisce perché è cosa comune e frequente per una donna di quei tempi. Ciò che stupisce è il singolare destino che Lucrezia ha avuto dalla storia: condannata dal mito e destinata a diventare quell’eroina negativa dalla quale ci si aspetta i delitti peggiori, gli eccessi più perversi, a verifica di un pregiudizio, di un luogo comune rassicurante.

Stupisce, inoltre, che tra i membri della famiglia Borgia (il padre Rodrigo, il fratello Cesare), Lucrezia abbia ricevuto dalla storia la sorte peggiore. A differenza dei suoi, non ha mai avvelenato, mai ucciso, mai fatto uccidere; eppure, contro tutti i documenti, contro tutte le testimonianze, la sua leggenda di portatrice di veleni mortali resiste come una condanna: un vero destino da donna.     

Di Cristina Giuliano
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